Per qualche tempo, da studente, ho vissuto con un giovane palestinese. All’epoca non ero particolarmente interessato alla questione mediorientale ma i racconti del mio amico hanno finito per segnarmi profondamente e condizionano ancora oggi le mie impressioni.
Ho sempre ritenuto la sua storia esemplare per definire il conflitto che affligge quei territori e che dilania nell’intimo ognuna delle persone che ci vivono. Quella del mio amico è la storia di un bambino nato con la sventura di una famiglia di moderati. Fin da piccolo ha pagato il prezzo per quell’orientamento familiare che nei fatti gli impediva di uscire serenamente di casa: i bambini israeliani gli tiravano le pietre perché era palestinese, e i bambini palestinesi facevano altrettanto perché non andava con loro a tirare le pietre ai bambini israeliani. Proprio come avviene in quella vecchissima canzonetta di Antoine, per chi la ricorda.
Se cresci così, rifiutando l’idea del conflitto, convincendoti del fatto che non c’è nulla per cui valga davvero fare una guerra e tirare pietre, è chiaro che in Palestina vivi male, malissimo. E pur amando il posto in cui sei nato, capisci presto che rifiutare la guerra per quella terra significa altrettanto doverla lasciare. Una terza opzione: che non concede vittoria, ma che almeno non fa vittime, se non dentro di te.
Tornare, come spesso faceva per rivedere la sua famiglia, era per lui un calvario, perché la possibilità di raggiungere più o meno tranquillamente la sua casa dipendeva dalle fortune politiche dei “moderati”. Se in un dato momento prevalevano, poteva riabbracciare la madre con relativa facilità. Se invece a dettare legge erano le fazioni più estremiste – come accade oggi – la strada si faceva lunghissima e complicata. E quell’abbraccio diveniva clandestino: ogni volta rubato alle spire della guerra.
Il mio amico non è un santo e non ha in simpatia gli israeliani, ma ha continuato a pensare che sparargli addosso fosse un crimine, come è un crimine sparare a chiunque. Un’idea che – a sentir lui – era condivisa da molti altri giovani palestinesi. Nemici soltanto della guerra. Una minoranza o una maggioranza? Questo non lo so, e credo fermamente non conti.
Piegati dai lutti, annichiliti dalla morsa dei due odi contrapposti, alcuni sono finiti plagiati dal fanatismo e hanno abdicato a quella sana idea di pace. Altri, come lui, no. Ma non è un illuminato: semplicemente ha avuto l’occasione di andarsene e ha scelto di farlo. Perché è difficile restare e non farsene coinvolgere, seppellendo amici e cugini morti per caso (o per un casus belli). Come è difficile accogliere una sozza corrente e restare puri. Bisogna davvero essere un mare, diceva Nietzsche, e chi lo è?
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E ti tirano le pietre
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