La recente pronuncia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite volta a riconoscere alla Palestina la qualifica di Stato Osservatore ha rinfocolato, come prevedibile, la vecchia querelle tra fautori di Israele e sostenitori dei diritti dei palestinesi. Polemica stantia, il più delle volte, perchè arroccata almeno in Italia su posizioni tanto solide da divenire irremovibili pregiudizi, sia dall’una che dall’altra parte, nonchè inutile a risolvere nel concreto la situazione.
Ma non è su questo che volevo scrivere. Piuttosto, la qualifica di “odiatore di Israele” che viene rivolta a chi evidenzia la sproporzione delle reazioni israeliane agli attacchi palestinesi, credo suggerisca una riflessione più approfondita relativamente alla tensione spirituale che anima i sostenitori a oltranza di Israele.
Facciamoci caso: Israele, nella filosofia dei predetti, assume una portata che travalica la concreta rilevanza del conflitto arabo-israeliano nella gerarchia delle cose tragiche che succedono nel mondo (miliardi di morti per fame, guerre dimenticate etc.), e anzi acquisisce una portata quasi metafisica, di scontro finale tra due forze ben distinte ed identificabili, da un lato il male assoluto (i palestinesi ottusi e violenti) e dall’altro il bene altrettanto categoricamente declinato (gli occidentali e illuminati israeliani, seme di democrazia in un continente da civilizzare).
E ciò assume una carica a mio modo di vedere ancora più parossistica laddove, come spesso accade, gli implacabili legittimatori dei bombardamenti a tappeto su Gaza sono, almeno qui in Italia, persone non di religione e cultura ebraica. Non è dunque raro vedere tolleranti e colti liberali nostrani improvvisamente infiammarsi di sacro furore, e lanciare strali al grido “antisemita! antisemita!” appena viene messo in discussione il diritto della Nazione Eletta a colpire indiscriminatamente i civili in risposta ai missili palestinesi che, in genere, di danni ne fanno pochini.
In questa reazione dei Nostri, sproporzionata e nervosa, c’è una componente non solo illiberale ma anche completamente irrazionale, potrei dire mistica, nel giudicare la portata concreta degli eventi: a fronteggiarsi non sono più due popoli, con le loro ragioni e torti reciproci, ma due forze spirituali di cui solo una, Israele, deve poter esistere e vincere, con qualunque mezzo e costi quello che costi.
Quale libro dettato da Dio, o scritto da autori ispirati, può indurre i sedicenti liberali nostrani di matrice (pare) anglosassone a sostenere posizioni in linea con gli ultranazionalisti israeliani, dai cappelli di pelliccia e dai lunghi cappottoni neri malgrado in Israele il clima sia tendenzialmente mite, questo lo ignoro. Mi permetto semplicemente di evidenziare l’esito quanto meno bislacco di tutto ciò per chi si professa, appunto, liberale e quindi scevro da fattori condizionanti che non siano la ragione e la scienza. Per non parlare poi degli aspetti esteticamente “cheap” che spesso informano l’agire dei nostri filoisraeliani a oltranza, tipo brandire la bandiera di Israele in occasione delle feste nazionali ebraiche, o cancellare immediatamente dalle amicizie di facebook quei poveretti che, reduci da un balletto al Teatro dell’Opera, sostengono che la prima ballerina, casualmente cittadina israeliana, si muove come se avesse due piedi sinistri.
Io, lo giuro, non odio nessuno, men che meno Israele. E non mi piace il balletto.
Forse ho qualche speranza di salvezza.